venerdì 12 aprile 2013

Mozambico. I macùa, vivere in armonia


Salama!?
Ecco un articolo che abbiamo trovato su Misna sulla cultura dei nostri amici macua. Abbiamo pensato di condividerlo! 

I macùa  sono il  gruppo etnico più numeroso del Mozambico.  Alcuni tratti culturali di questo popolo.
La regione abitata dai macùa copre  una superficie di circa 200.000 kmq confina a nord, verso la Tanzania, con il territorio dei maconde, a ovest con il lago Malawi, che la separa dal Malawi e a est si affaccia sull’oceano Indiano per oltre 600 km di costa. A sud arriva quasi fino alla città di Quelimane, abitata dall’etnia  chuabo cugini dei macùa. Tutta questa vasta regione è interessata dall’azione dei monsoni che cominciando a soffiare in ottobre dall’oceano Indiano, carichi di umidità, danno inizio alla stagione delle piogge, chiamata eyira. Sugli altipiani dell’interno – Alta Zambezia, Alto Niassa – piove abbondantemente in novembre; lungo la costa, in dicembre. Le piogge vengono invocate con sacrifici propiziatori e sono viste come segno concreto della benedizione di Dio. È scontato per i macùa vedere Dio come colui che somministra la pioggia. I macùa sono circa 4.000.000 e costituiscono il gruppo etnico più numeroso del Mozambico.

La società macùa è di tipo matriarcale. Il nihimo (clan, stirpe) è una comunità composta dalla madre (detta pyamwene), figli, nipoti, pronipoti e altri discendenti dei due sessi, ma secondo la linea femminile. Le donne e gli uomini sono portatori dello stesso “patrimonio” èreditato da un comune antenato, ma solo le donne hanno la capacità e il privilegio di trasmetterlo ai figli. Il nihimo è un’entità quasi mistica e permanente che unisce tutti coloro che discendono da una madre originaria e associa vivi e morti in una stessa comunità. Con la nascita ogni individuo, uomo o donna, viene integrato in un nihimo, cui appartiene per diritto. Tutti gli individui di uno stesso nihimo si considerano perciò parenti.  L’individuo è immerso nel suo gruppo clanico, plasmato dal nihimo di cui fa parte e non può sbarazzarsene. I figli appartengono al nihimo della madre. L’uomo appare come colui che ha il compito di generare individui in un nihimo e niente di più. Ogni nihimo si rifà ad un antenato-capostipite. ll mwene  è capo del nihimo e  viene scelto secondo la discendenza collaterale femminile.
Nella società macùa ognuno sa quello che deve fare. L’uomo ha i suoi incarichi: costruire la casa, andare a caccia, disboscare, commerciare i prodotti del campo; la donna deve cercare l’erba per il tetto, custodire i bambini, cucinare, coltivare la terra. Sembra che i lavori più pesanti siano degli uomini ma in realtà gli uomini lavorano meno. È la donna la più oberata. I figli sono accolti con gioia. La loro mancanza è una delle cause più frequenti di divorzio. Parecchi tabù da rispettare (mwikho) accompagnano il concepimento e la nascita. Durante la gravidanza la madre non può mangiare determinati cibi, poiché pregiudicherebbero lo sviluppo normale del nascituro. L’integrazione del bambino nella società avviene con l’iniziazione, tra i 5 e i 12 anni. Anticamente durava mesi e comportava un insieme di riti, nel corso dei quali il giovane moriva  e nasceva l’adulto. Erano previste varie prove fisiche: fame, freddo, battiture (fino allora non gli si era torto un capello per nessuna ragione al mondo), umiliazioni. L’iniziando veniva introdotto nei segreti della vita: cosa fare in caso di malattia, come seppellire i morti. Insomma, era una vera scuola della vita.
Gli anziani sono rispettati e visti come i depositari della saggezza e della tradizione. Davanti a loro i
giovani tacciono. L’anziano è ancora una garanzia e un punto di riferimento. E oggetto di timore reverenziale e si ha paura che dopo morto possa vendicarsi e causare disgrazie.
In genere il macùa è sereno di fronte alla morte. Amante della vita, egli accetta con naturalezza la morte. Ha paura di star male, non di morire. Okhwa orowa; morire è andare. Dove? nel mondo degli spiriti, che vagano per i boschi, soprattutto presso i baobab oppure negli antri delle montagne. E viva l’idea di sopravvivenza, soprattutto di comunione e di comunicazione tra il mondo dei vivi e quello degli antenati. Anzi essi sono più potenti dei vivi: possono dare la salute, la pioggia o anche negarla, se sono trattati male, o quando chiedono, in sogno o attraverso I’indovino, qualche sacrificio.

Il senso religioso
Il mondo religioso macùa abbraccia tutto il cosmo. Il macùa vive in un universo popolato di esseri materiali e spirituali, che formano un’unica realtà, da cui l’uomo non si distingue adeguatamente perché vive in simbiosi con la natura. Egli crede che ci sia qualcuno che dispone tutte le cose perché vadano come vanno.
Questo è il significato che soggiace in moltissime affermazioni che il macùa fa su Dio.
Muluku ohavo: Dio c’è.
Muluku t’onnikumiha nsuwa : Dio fa sorgere il sole.
Muluku t’onnirupiha epula : Dio fa cadere la pioggia.
Muluku otthunne siso : Dio ha voluto così.
Muluku mutthu: Dio è persona.
Da queste frasi appare un Dio personale, creatore, onnipotente o addirittura provvidente (nanwara sothala Muluku onnimona : Dio ‘vede’, chi è povero). Una persona scampa da un pericolo? esclama: Dio c’è. Ha un buon raccolto? dice: Dio mi ha benedetto. Gli capita una disgrazia? dice: Dio mi ha voltato le spalle. Sono tutte espressioni che equivalgono a dire: “sono fortunato” oppure sono “sfortunato”. Dire ho trovato Dio equivale a dire: “ho trovato la buona sorte”.
Più che il desiderio di parlare, conoscere, vivere in comunione con Dio, c’è la preoccupazione di ottenere salute, cibo, pioggia e siccome di questi valori il macùa non ha il dominio, chiama in causa Dio, o meglio i suoi intermediari, perché lo aiutino.
L’atteggiamento dell’uomo nei confronti di Dio potrebbe essere paragonato un po’ ad una nave che attraversa il mare: sta a galla, avanza e basta. Non si sente in dovere di ringraziare il mare su cui naviga: Dio è qualcosa di sicuro e indefettibile.
Un anziano macùa  ricordava espressamente che la terra è la moglie di Dio e la pioggia è il seme di Dio che feconda la terra perché produca l’erba e i frutti. Il tuono è la voce di Dio, il fulmine è il fuoco di Dio: a questo fuoco si ha cura di accendere il fuoco di casa. Il popolo macùa è, insomma, profondamente religioso.
La grande legge che domina la vita dei macùa è: “Vivere in comunione”. Per cui è morale quello che favorisce la comunione, è immorale quello che vi si oppone. Questa comunione è intesa in senso vastissimo. Anzitutto il macùa vive in comunione con l’universo. Rispettare la natura, non trasgredirne le leggi, rendersela propizia, non rovinarla, vivere in armonia con essa è la sua grande preoccupazione di ogni giorno. Il limite tra realtà inanimate e animate per il macùa è piuttosto indefinito. Ma soprattutto egli vuole vivere in comunione con le persone. Di qui il rispetto e lamassima cura per non urtarsi con nessuno e non rompere con nessuno, Il macùa sa benissimo che, una volta messo in crisi, l’equilibrio difficilmente tornerà a ristabilirsi: mulattu khununtta! (: la lite non marcisce), rimane cioè sempre viva. (G.P.)
© 2013 MISNA - Missionary International Service News Agency Srl - All Right Reserved.













Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.